Esercizio di risoluzione del problema

16 Febbraio 2019

Esercizio di risoluzione del problema – Sabato della V settimana del Tempo Ordinario(Anno dispari)

Gen 3,9-24  Sal 89

+ Dal Vangelo secondo Marco(Mc 8,1-10)

Mangiarono a sazietà.

In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano».

Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette».

Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli.

Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò.

Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.

La situazione iniziale del racconto è caratterizzata da una folla che ha fame ma non ha di che mangiare. Gesù si rende conto di un problema molto concreto della gente che sta con lui e questo lo può fare perché sente compassione per loro, cioè la relazione che egli instaura lo coinvolge totalmente con le persone che incontra. A Gesù non è estraneo nessun aspetto dell’umanità e quindi si preoccupa del pericolo che corrono coloro che devono affrontare il viaggio di ritorno a casa stando a digiuno. I discepoli colgono il nocciolo del problema, ma al tempo stesso domandano come ospitare quella folla in luogo inospitale come il deserto in cui si trovano. Lo stare con Gesù non è garanzia di autosufficienza e del fatto di non dover affrontare i problemi quotidiani della vita come quello di procurarsi da mangiare. L’amicizia con Gesù non ci esime dalla fatica di procurarci di che vivere. Tuttavia questa preoccupazione non è lasciata solo alla determinazione o alla disperazione dell’indigente ma è condivisa da Dio ma anche dalla comunità, soprattutto quando vengono a mancare gli strumenti per soddisfare i bisogni di base. Non basta fare le analisi sulle cause della fame del mondo, sulle sperequazioni e ingiustizie che affamano popoli interi, ma bisogna domandarsi: come rispondere alle situazioni che interpellano la nostra coscienza? Quando con Gesù si sbatte la faccia contro situazioni umane difficili è proprio a Lui che si chiede cosa poter fare. I discepoli non si defilano in un vago spiritualismo disincarnato che porta a rivolgersi a Dio solo con pii pensieri pietistici aspettando dal Cielo la risoluzione. In realtà il Pane è già disceso da cielo, ma perché sia nutrimento per tutti anche la comunità si deve sentire coinvolta. Chi nutre e dà la vita è Gesù, ma questo avviene attraverso la mediazione della comunità dei suoi discepoli. I cristiani rispondono al bisogno vitale dell’uomo non dando quello che appartiene loro, ma quello che essi hanno ricevuto e che Dio ha santificato rendendolo segno della sua presenza e del suo amore. Gesù prendendo i sette pani con rendimento di grazie a Dio e benedicendo i pesciolini, rende quelle realtà segno di se stesso che si dona come vero nutrimento che consente il prosieguo del cammino fino a raggiungere la propria casa, la casa di Dio. Una madre e un padre cristiani non danno ai loro figli semplicemente un’eredità materiale ed essa, per quanto cospicua possa essere, non garantisce quel nutrimento che permette un cammino di crescita regolare e compiuta. I genitori cristiani fanno crescere i loro figli e li mettono in grado di camminare verso la loro “casa”, condividendo con loro il pane della gioia e del dolore, dei successi e delle sconfitte, di fatica e ristoro, di consolazione e desolazione. Su questo pane Gesù pone la sua benedizione e diventa pane che sazia.

 

Signore Gesù, quando mi dai la grazia di sentire mia il morso della fame degli uomini, donami anche la sapienza di non farmi prendere dall’ansia della prestazione, di non anteporre le mie preoccupazioni, spesso autocentrate ed egoistiche, ai tuoi timori per i pericoli che i miei fratelli possono correre se lasciati a loro stessi nella soluzione dei loro problemi. Che il mio stile di carità si conformi sempre di più al tuo. A te offro ogni gioia e ogni dolore, ogni consolazione e ogni desolazione perché tu me li restituisca impregnati della tua grazia e, così impreziositi, siano condivisi con entusiasmo e fiducia con i miei fratelli.

 

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!