Dio ha amato il mondo tanto al punto di… donare il Figlio, l’Unigeto

10 Ottobre 2017
SOLENNITA’ DELLA SS. TRINITA’
LECTIO DIVINA
+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,16-18)
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Per leggere … quello che dice l’evangelista
Questi versetti sono tratti dal dialogo notturno tra Gesù e un membro autorevole del Sinedrio, di nome Nicodemo. In questo dialogo in realtà sembra riportata la riflessione dei discepoli di Gesù dopo la sua risurrezione, incentrata sulla domanda: chi è veramente Gesù di Nazareth?
L’evangelista, scrivendo il suo vangelo dopo sessant’anni circa dagli eventi storici, si identifica con Nicodemo che era uno dei capi dei farisei e che, nel buio del dubbio, cerca la luce della verità. La verità non è un concetto astratto, ma è una realtà concreta e personale: Dio. Nella sua ricerca della verità, del fondamento della vita, della ragione ultima dell’esistenza umana, l’evangelista riconosce che Gesù è colui che rivela il volto autentico di Dio che rende partecipe l’uomo della sua gloria, del suo amore potente che salva. A partire dalla Pasqua lo Spirito santo ha guidato (e continua a guidare) i discepoli alla conoscenza di Gesù e di quel Dio con il quale Egli ci mette in relazione di comunione. Gesù ci fa vedere il volto di Dio che nessuno era mai riuscito a vedere, piuttosto pretendendo di dare a Dio il proprio volto. Dio si rivela attraverso Gesù come un Padre! La sua caratteristica principale è il fatto di amare l’uomo in maniera incondizionata e fedele fino al punto di donare se stesso, nel Figlio suo. Incontrare e seguire Gesù, stare con Lui e unirsi nel suo progetto di vita, permette all’uomo di gustare la bellezza di Dio che non condanna, ma dona a tutti gli uomini la possibilità di crescere in umanità e nell’amore vicendevole. La vita eterna non è la vita dopo la morte, ma è quella vita che la morte non può spegnere, perché è quella che viene solo da Dio. La vita eterna è nella vita “biologica”, è il “soffio di Dio” che ci è donato sin dal momento del concepimento. A Nicodemo Gesù aveva detto: “Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito” (Gv 3, 5-6). Credere è un’esperienza di nascita e rinascita come figli di Dio attraverso l’ “acqua” simbolo dello Spirito Santo, fonte della Vita. È lo spirito Santo che ci forma, ci fa nascere dall’alto, cioè ci fa rinascere come figli che portano in sé l’immagine di Dio. La caratteristica dei figli di Dio è quella di avere in se la vita eterna, la stessa vita di Dio, cioè il suo amore che non giudica per condannare, ma che muove alla compassione per ogni persona alla quale dona tutto se stesso gratuitamente. Gesù, si presenta come il Figlio di Dio, perché è colui che ripresenta in sé i lineamenti propri del Dio Padre che non condanna nessuno, ma desidera per tutti la salvezza, la vita eterna. Credere significa aderire al progetto di vita che Dio a se stesso (amare l’uomo, fare comunione, costruire famiglia con lui) e che condivide con l’uomo coinvolgendolo nel suo disegno di salvezza. Credere significa lasciarsi inserire nella comunità divina fondata sull’amore reciproco che tende ad estendersi a tutti soprattutto al “mondo” cioè coloro che fanno fatica a farsi coinvolgere e si lasciano vincere invece dall’egoismo individualistico che lo condanna alla solitudine. Essa è la vera maledizione per l’uomo! Dio non maledice, né condanna. Ma è l’uomo che rifiuta di lasciarsi abbracciare, curare, guidare, accompagnare, crescere da Dio si autocondanna alla chiusura in sé, all’isolamento nel proprio io e all’esaurimento della propria vita.
Per meditare … quello che Dio dice alla mia vita
Un Dio che ama. Ascoltando la parola che ci è stata proposta, riconosciamo in essa il racconto di una storia d’amore: è la storia tra Dio e l’uomo. Dio è un innamorato del mondo, cioè dell’umanità: così ha preso avvio la pagina evangelica: «Dio ha tanto amato il mondo…» (Gv 3,16). Ed è Dio stesso che racconta questa storia attraverso il Figlio, che la incarna, la fa diventare la sua stessa vita. Nicodemo, un cercatore della verità, ha ascoltato dalle parole di Gesù questo annuncio; un annuncio che possiede un orizzonte ben preciso, una mèta: tutto è orientato alla vita eterna, alla salvezza. Per questo, dice Gesù, il Padre ha donato lui, l’unico Figlio: perché chi crede sia salvato. Per questo il Figlio è stato inviato dal Padre con una missione, che non è quella di condannare, ma di salvare.
L’adesione alla fede, il credere, è la via necessaria per raggiungere la salvezza, la vita. Esiste per l’uomo, però, anche una condanna: è la possibilità di rifiutare la salvezza, di escludersi dal dono. Dio non vuole escludere nessuno, non vuole condannare nessuno, a tutti offre il suo dono, a tutti offre il suo Figlio, ma ognuno resta libero di scegliere, di accogliere ed essere salvato, o di rifiutare, di escludersi e condannarsi. L’evangelista Giovanni sottolinea che il dono è per chi crede, appunto per chi lo accoglie, così come la condanna è per chi «non ha creduto nel nome del Figlio unigenito di Dio». Il richiamo al nome è riferimento e rimando alla persona di Gesù, alla sua vita, alla sua missione: nel suo nome sta la sua missione «Dio salva» (Lc 1,31). E veramente Dio salva, sempre: ce lo ha ricordato anche la lettura tratta dal libro dell’Esodo con lo stesso rimando al «nome del Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6). Da sempre Dio conosce anche la miseria dell’uomo, la nostra «dura cervice, la nostra colpa, il nostro peccato», ma vuole ugualmente fare di noi la sua eredità (34,9).
Se anche noi, come Nicodemo, vogliamo cercare sinceramente la verità e conoscere chi è Dio per noi, quale sia la sua proposta per colmare la nostra esistenza, non abbiamo bisogno di discorsi complicati, di formule teologiche astratte, di idee preconcette; abbiamo bisogno di sentirci figli amati, di sperimentare la tenerezza del Padre verso di noi e verso i nostri fratelli e sorelle, di riconoscere che Dio cammina in mezzo a noi, che con noi, con me, si è sporcato le mani, che ha donato il suo Figlio e lo Spirito Santo, che non ha trattenuto nulla per sé, ma si è dato tutto. Oggi celebrare la Trinità significa ricordarci di questo Dio e dei suoi doni, per riscoprirlo ogni giorno e non voler più fare a meno di lui, così come lui non vuole fare a meno di noi; significa provare e riprovare a corrispondere da innamorati, o almeno con la consapevolezza di essere amati, a questa eterna storia d’amore che egli ha iniziato con ciascuno di noi.
Per pregare … quello che io dico a Dio
C’è un progetto d’amore, Gesù,�che va ben oltre la nostra immaginazione ed i nostri più profondi desideri�e tu ti sei fatto uomo per realizzarlo.
Attraverso di te il Padre�vuole fare di noi, così diversi�e talora così ostinatamente lontani,�una sola famiglia, la famiglia dei suoi figli. Ma sarà mai possibile invertire�la direzione di una storia�che è continuamente ferita,�lacerata, umiliata da disegni�di violenza, di brutalità, di oppressione, da propositi di ferocia,�di distruzione, di barbarie?
È solo nel tuo sangue, Gesù,�che può essere costruita un’alleanza, eterna ed universale,�tra Dio e gli uomini,�all’insegna della grazia e della misericordia.
La tua vita offerta, donata,�segna l’inizio di un’epoca nuova:�il tuo amore smisurato�ci rivela il volto autentico del Padre e l’azione dello Spirito�rende finalmente possibile�ciò che a tutti sembrava�inaudito ed insperato.
Ecco perché oggi noi celebriamo�te, il Figlio, insieme con il Padre e lo Spirito Santo, una sorgente di comunione�che trabocca e raggiunge�e trasforma le nostre esistenze.