Fede è guarigione, trasgredire la paura verso il Rifugio e la Vita. VI Domenica del Tempo Ordinario

11 Febbraio 2018

Il racconto evangelico di questa domenica (Mc 1, 40-45) vede come protagonista un lebbroso che, come si legge nella prima lettura (Lv 13, 1s.), a causa della sua malattia, deve mantenersi lontano da tutti e impedire che altri si avvicinino gridando la sua condizione di impurità, cioè la sua esclusione da qualsiasi contatto o relazione con altri.
La legge aveva solo il compito di “notificare” la condizione di pericolosità sociale di quel malato, che poteva infettare anche le altre persone, e certificava il suo stato d’impurità che solo Dio poteva sanare, non essendoci rimedi umani di guarigione.
Nell’evento narrato da Marco la legge viene trasgredita, o meglio diremmo che la legge viene letta nel suo significato più vero che va oltre la semplice lettera della norma; è infatti trasgredita dal lebbroso che non grida la sua impurità, ma il suo profondo desiderio di purificazione e inserimento nella comunione con Dio e con i fratelli, dall’altra parte c’è Gesù che, mosso dalla compassione (sintonia con la passione di amore del lebbroso), gli si fa incontro addirittura toccandolo. Entrambi, dunque, il lebbroso e Gesù, andando oltre il limite delle parole e delle capacità umane, vanno al cuore della legge che è la volontà di Dio, la comunione di amore con Lui e tra i fratelli. Il lebbroso invoca la pietà di Gesù, riconosciuto come Dio di amore, che scaturisce dalla volontà del Signore di amare e prendersi cura dei suoi figli; Gesù mostra il vero volto di Dio che agisce con potenza (stendere la mano) reintegrando l’uomo nella relazione di amore con sé e con la comunità.
Il lebbroso ha iniziato un cammino di guarigione, non semplicemente quando ha ammesso la sua malattia, ma quando, riconoscendo la grandezza dell’amore di Dio, ha deciso di rifugiarsi in Lui, oltrepassando con coraggio tutte quelle ideologie false dell’uomo che nasconde nella paura di sé e dell’altro il pregiudizio su di sé e sull’altro. L’uomo affetto dalla lebbra non si rassegna all’ emarginazione e alla morte a cui sembra condannarlo Dio, la comunità e infine anche lui stesso. Condannato per cosa? Il proprio malessere non è una condanna per le colpe come il benessere non è un premio per i meriti. Il malessere dell’uomo, se da una parte rivela il suo limite creaturale che lo porta a sbagliare strada e quindi anche a soffrire, dall’altro deve accendere in lui il desiderio di superarli andando verso il Signore e accogliendo con gratitudine da Lui il suo aiuto.
Alla fine del racconto è Gesù che sta fuori della città, come i lebbrosi. Chi vuole incontrarlo per essere veramente guarito e riunirsi alla comunione con Dio nella comunità dei fratelli deve uscire dai confini della città, cioè da quei muri di protezione; bisogna svestirsi delle divise che dividono e condividere il proprio vestito, cioè la propria dignità con chi l’ha persa. Buona domenica a tutti!
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