Il martirio è eucaristia e l’eucaristia è martirio – Sant’Atanasio

2 Maggio 2020

Il martirio è eucaristia e l’eucaristia è martirio – Sant’Atanasio

At 9,31-42   Sal 115  

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,60-69) 

Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».

Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao raggiunge il suo vertice nell’invito rivolto ai discepoli di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue per avere la vita. Naturalmente queste parole sono incomprensibili per coloro che non credono, anche se sono suoi discepoli. Gesù è arrivato al dunque, perché il cuore della sua opera e del suo insegnamento è il martirio. Sulla croce Gesù dona il suo corpo e il suo sangue, cioè tutta la sua vita, sicché la sua morte diventa la testimonianza più alta (martirio) di quanto Dio ami l’uomo. Il martirio di Gesù da una parte rivela lo splendore della Santità di Dio, dall’altra mostra la via ordinaria della santità che il discepolo percorre dietro Cristo. Parlando ai discepoli che lo invitavano a mangiare quello che avevano comprato dal villaggio vicino al pozzo di Sicar, Gesù dice: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete … il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4, 32.34). Lungo il cammino terreno verso la Pasqua Gesù avverte l’urgenza di nutrirsi della parola del Padre e assimilarne la sua sapienza, aderire al suo progetto d’amore e compierlo. «Tutto è compiuto!» le ultime parole di Gesù sulla croce sugellano il compimento della sua opera e di quella del Padre. «Detto questo chinò la testa è diede lo Spirito». Lo Spirito è il primo dono del Risorto a coloro che credono e che rimangono con Lui anche quando il progetto di vita che ci propone risulta impossibile da realizzare. Solo con l’aiuto dello Spirito Santo che Gesù ci dona attraverso il suo martirio noi possiamo credere, cioè assimilare, aderire e mettere in pratica l’opera di Dio. 

L’idea del martirio ripugna come quella del mangiare la carne umana e bere il sangue, perché fa paura la morte, e con essa le sofferenze fisiche e psicologiche, le umiliazioni, le mortificazioni, soprattutto quelle subite ingiustamente. Questa istintiva repulsione non ci permette di riconoscere l’aggressività quando con le nostre parole «mangiamo» gli altri e quando, nutrendo sentimenti di rancore, coltiviamo la sete di vendetta. L’aggressività, anche quella che si maschera di vittimismo per accusare gli altri, e il rancore sfogato contro chi è più debole di noi, sono forze interiori che appartengono alla «carne» ed esercitano un forte fascino, ma che sono in netto contrasto con lo Spirito. La mormorazione e la continua critica distruttiva e maligna è indice di una fede falsa e di un’autentica incredulità. «Volete andarvene anche voi?» s’impone una scelta: rimanere con Gesù seguendolo sulla via della santità o arrendersi a sé stessi e vivere nel compromesso e nell’ambiguità. Sarebbe una tragica illusione pensare di prendere in giro Dio con qualche pratica buona e un po’ di preghiere perché questa sarebbe una fede vuota che porta verso il baratro.

Mangiare la carne di Gesù e bere il suo sangue non significa solo celebrare un rito staccato dalla vita ma comporta assumere l’eucaristia come stile di vita: interiorizzare la parola di Dio, aderire alla sua volontà e donare la nostra vita ai fratelli nel servizio come lui ha fatto con noi. 

Nutrendoci di lui possiamo rimanere sulla via della vita senza perderci voltandoci indietro. La vita tante volte ci riserva parole dure da accettare e digerire. Spesso dobbiamo ingoiare bocconi amari, ma dobbiamo andare avanti stando dietro di lui, lasciandoci accompagnare dalla sua parola e sostenere dal suo corpo donato. La nostra vita è bella e santa se essa diventa martirio eucaristico. 

Le parole di Pietro sono un atto di fede che esprime comunione con Gesù e adesione al suo insegnamento. Nell’eucaristia i nostri occhi possono contemplare la bellezza della Santità di Dio e da essa attingere la forza per progredire sulla via della santità senza paura. Nell’eucaristia Gesù non ci chiede una eroicità folle e autodistruttiva, ma di vivere la straordinaria bellezza dell’amore nelle ordinarie brutture della vita. La croce sulla quale Gesù è salito, e dalla quale ha dato testimonianza della Santità di Dio, non sia per noi motivo di scandalo e di ritiro, ma ragione di vita perché dall’alto delle nostre croci possiamo chinarci per tendere la mano a coloro la cui debolezza ha fatto cadere in basso.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!