La festa è inizio del cammino di vita nuova

30 Marzo 2019

La festa è inizio del cammino di vita nuova – IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO C)

Gs 5,9-12  Sal 33   2Cor 5,17-21  

+ Dal Vangelo secondo Luca(Lc 15,1-3.11-32)

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

 

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Il motivo dominante di questa domenica è la gioia di Dio nel riconciliarsi con i suoi figli. I protagonisti della parabola sono i membri di una famiglia formata dal padre e dai suoi due figli. L’unità della famiglia si rompe quando il figlio minore decide di abbandonare la casa paterna dopo aver esigito dal Padre la sua parte di eredità. Facile immaginare che dietro questa scelta ci sia il disagio del giovane che non riconosce come suo l’ambiente in cui vive, la figura genitoriale non è affettivamente significativa e la relazione con fratello maggiore molto probabilmente è conflittuale. Quella casa gli sembra un carcere da cui fuggire. Le relazioni familiari le avverte troppo schematizzate e rigide. Cerca altro, cerca la libertà oltre la propria casa e i legami familiari. Il padre non si oppone alla richiesta del figlio e lo lascia andare per la sua strada. Questa scena interpreta tantissime situazioni familiari e anche ecclesiali. Una casa abbandonata è sempre una ferita che si apre, come vivere questo trauma? Come affrontare il problema dell’abbandono? Il padre comprende che per il figlio lui in realtà non c’è, è stato come rimosso. Tuttavia pur consapevole del fatto che sia stato rimosso dai suoi pensieri, che si è liberato come se fosse stato costretto da un laccio, come padre, lui c’è e ci sarà sempre per il figlio. Anche se il giovane è lontano, lui gli è prossimo col desiderio che egli viva. Il ragazzo non sa che lontano da casa la sua vita è in pericolo, lo sperimentarà sulla sua pelle. La seconda scena descrive il fallimento della ricerca del giovane: ha sciolto i legami familiari per cercare la libertà lontano da casa, ha trovato le catene della miseria, dello sfruttamento e della solitudine. Quando arriva sul ciglio del baratro ascolta di nuovo il cuore che gli ricorda la cura che il padre ha nei confronti dei servi. Non c’è traccia del dolore per il suo peccato e neanche “compassione” per quel padre che ha ferito così crudelmente. Egli è caparbiamente attaccato alla vita e capisce che può salvarsi solo ritornando a casa, riallacciando la relazione con il padre.

La terza scena è il cuore della parabola in cui il padre si rivela veramente per quello che è. Quella figura, che all’inizio poteva sembrare rassegnata e debole, invece ora acquista vivacità nella dinamicità dell’amore paterno. Non è cambiato il padre, ma il modo di viverlo. La gioia del padre che accoglie il figlio è incontenibile, gli salta addosso e gli basta sentirsi chiamare nuovamente papà. La festa è accoglienza, reintegrazione, condivisione della gioia nel banchetto. Il reduce rientra in casa non da straniero, né da servo, ma da figlio che era morto ed è tornato in vita. La festa non segna semplicemente il ritorno a come era prima. La festa precede la “preparazione” che rende degni di essere riammessi; dunque il banchetto non segna la conclusione del cammino di rinascita del figlio, bensì il suo inizio. Luca specifica che “cominciarono a fare festa”. Il banchetto con il vitello grasso è il simbolo dell’eucaristia che non è il sigillo che sancisce la conclusione di un cammino penitenziale e di purificazione, ma l’inizio del cammino di una vita nuova. A questo punto sorge una domanda: il figlio userà i doni che ha ricevuto come ha usato l’eredità che ha esigito, cioè per se stesso, oppure ne farà tesoro per fare della casa in cui vive una casa in festa? A questa domanda ciascuno di noi deve rispondere. Come mi lascio trasformare dall’incontro col Signore nella sua casa? A partire dall’eucaristia compio un cammino di graduale adesione alla volontà di Dio, cioè al suo modo di agire? Credere in Dio significa assimilarne il suo amore in modo da custodirlo interiormente e manifestarlo nella vita?

Il figlio minore e il fratello maggiore sono molto più simili di quanto si possa immaginare perché entrambi vivono un rapporto conflittuale col padre; la differenza è che il primo esprime la sua rabbia andandosene di casa, il secondo la reprime e la incanala nel senso del dovere, che lo rende da una parte indifferente al fratello e dall’altro astioso verso il padre. Adesso che ne ha la possibilità anche lui si ribella e mostra la sua amarezza. Il figlio maggiore ha vissuto nella casa del padre adattandosi alla volontà altrui in maniera passiva, accumulando rancore e disprezzo verso il fratello. Il figlio maggiore pur rimanendo in quella casa per abitudine, per convenienza, per codardia, per pigrizia, per tradizione, non è cresciuto affettivamente nel rapporto col padre. È sempre vissuto di confronti e non è riuscito godere del suo presente impegnato in una continua competizione con il fratello del quale doveva apparire migliore. Il padre si comporta col figlio maggiore, come si è comportato col minore, infatti esce a supplicarlo. La festa è anche per lui perché finalmente scopra il vero volto del padre e ritrovi il fratello che non accettava.

 

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!