La rivoluzione della fede che trasforma con mitezza senza stravolgere con violenza – Venerdì VII settimana di Pasqua

18 Maggio 2018

 

Dagli Atti degli Apostoli (At 25,13-21)

 

In quei giorni, arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenìce e vennero a salutare Festo. E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re le accuse contro Paolo, dicendo:

«C’è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, contro il quale, durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono i capi dei sacerdoti e gli anziani dei Giudei per chiederne la condanna. Risposi loro che i Romani non usano consegnare una persona, prima che l’accusato sia messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall’accusa.

Allora essi vennero qui e io, senza indugi, il giorno seguente sedetti in tribunale e ordinai che vi fosse condotto quell’uomo. Quelli che lo incolpavano gli si misero attorno, ma non portarono alcuna accusa di quei crimini che io immaginavo; avevano con lui alcune questioni relative alla loro religione e a un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo.

Perplesso di fronte a simili controversie, chiesi se volesse andare a Gerusalemme e là essere giudicato di queste cose. Ma Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio di Augusto, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare».

 

Parola di Dio

 

La pagina degli Atti degli Apostoli che è proposta nella liturgia della parola di oggi riporta il resoconto che il governatore Festo, che era succeduto a Felice, fa alla presenza del re Agrippa e di sua moglie Berenìce. La sintesi arriva alla conclusione che Paolo è accusato non di crimini, ma per la sua fede in Gesù, morto, ma che lui afferma essere vivo. Per il governatore sono questioni che vanno risolte negli ambienti religiosi e invece Paolo chiede di godere del privilegio di essere giudicato dall’Imperatore in qualità di cittadino romano. Se ci fermassimo solo al resoconto dei fatti perderemmo il significato più profondo dell’annuncio paolino e del fatto che egli voglia andare a Roma. Agli occhi dei pagani l’oggetto della disputa può sembrare una questione di lana caprina, in realtà la fede che professa Paolo è in Gesù, morto e risorto. Questo significa che egli non è semplicemente il seguace di una dottrina o di una setta, ma è il discepolo di Gesù, che risorto, è vivo. Paolo è cambiato totalmente dall’incontro con Gesù risorto e tuttavia presente nei cristiani che egli faceva soffrire perseguitandoli. È l’incontro con Gesù che non solo gli ha fatto cambiare idea su di lui e i cristiani, ma gli ha cambiato modo di vivere e gli obbiettivi da raggiungere. Come il giusto di cui parla il Libro della Sapienza, anche Paolo con il cambiamento avvenuto nella sua vita, rappresenta una provocazione insopportabile per coloro che preferiscono vivere “facendosi i fatti propri”, godendosi la vita nella logica materialista più banale, e perpetuando abitudini cattive chiamandole tradizioni. La fede autentica, quella che ti mette sempre in movimento di uscita dal proprio egoismo per andare incontro all’A/altro, ha una forza rivoluzionaria perché capace di smuovere le convinzioni radicate nell’autoreferenzialità che genera gruppi e fazioni contrapposte tra loro. Solo chi coniuga la propria professione di fede in Gesù, il crocifisso risorto, con la disponibilità a mettersi in gioco per lui fino alla fine, anche a costo di ferirsi e perdere la vita, comunica una benefica forza rivoluzionaria che cambia senza distruggere il bene, che trasforma senza stravolgere la verità.

 

Auguro una serena giornata e vi benedico di cuore!