L’incredulità è relegare Gesù ad un sistema di concetti, norme e riti

6 Febbraio 2019

L’incredulità è relegare Gesù ad un sistema di concetti, norme e riti – San Paolo Miki e compagni

Eb 12,4-7.11-15   Sal 102  

+ Dal Vangelo secondo Marco(Mc 6,1-6)

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.

 

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Uno dei luoghi scelti da Gesù per insegnare è la sinagoga nella quale spiega la Scrittura applicandola a sé. In genere chi legge la Torah e ne dà una spiegazione fa riferimento alle interpretazioni dei vari rabbì. Gesù invece parla a partire dalla esperienza come persona. La parola di Dio è significativa quando è legata all’esistenza e non è calata dall’alto e rimane al di fuori della vita concreta. L’insegnamento di Gesù non è primariamente morale, è una testimonianza impregnata di vissuto umano e divino. Chi ascolta Gesù nella sinagoga di Nazaret lo conosce bene tant’è che lo identifica con il lavoro ereditato dal padre e chiama per nome i membri della sua famiglia a lui più vicini. Tuttavia non li convince il legame tra il livello sociale e religioso della sua famiglia, da un lato, e la sua sapienza nel parlare e la sua potenza nell’agire, dall’altro. Ciò che impedisce di dare credito all’insegnamento di Gesù e di aderire a lui nella fede è la considerazione “orizzontale” della sua persona. Relegare Gesù solamente al suo aspetto squisitamente storico e mondano favorisce l’incomprensione e la diffidenza. Secondo i nazaretani in Gesù c’è qualcosa di strano, non riescono a cogliere la novità. Essa infatti non risiede in nuove interpretazioni della Scrittura e neanche nei prodigi che fa, ma nella relazione fraterna con i suoi paesani e nel rapporto filiale con Dio.

Gesù rintraccia nella Scrittura la chiave di lettura delle sue esperienze, soprattutto quelle spiacevoli. Nella figura del profeta, uomo di Dio, Gesù trova la spiegazione di quella illogica reazione dei suoi paesani. Anche Gesù, come tutti gli autentici profeti, fatti voce di Dio, partecipa della loro sorte comune di essere rifiutato. La parola dei profeti è parola di Dio perché mette in crisi schemi mentali consolidati e che diventano muri difensivi, impermeabili alla grazia di Dio di agire. La parola di Gesù non diventa evento di liberazione e guarigione perché viene rifiutato Dio e il suo dono.

Le tante domande che si pongono coloro che hanno ascoltato le parole di Gesù tradiscono un malcelato tentativo di non porsi la vera domanda: oggi Dio cosa sta dicendo alla mia vita? Impegnati a capire ciò che sta succedendo e spendendo tanto tempo ed energie per fare analisi dettagliate, si corre il serio rischio di relegare la fede a puro dato concettuale nel vano tentativo di capirne il senso con i soli criteri mondani. C’è dunque una forma d’incredulità subdola e sottile che è quella di trattare Gesù come un’ipotesi teologica, come una tradizione religiosa, come la personificazione di un principio, come un genere letterario fiabesco. Da qui la conseguenza di considerare Gesù come un problema perdendo di vista l’essenziale, che cioè è prima di tutto una persona.

 

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!