L’ultima parola, la definitiva, spetta alla Gioia – Giovedì della VI settimana di Pasqua

21 Maggio 2020

Giovedì della VI settimana di Pasqua

At 18,1-8   Sal 97  

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,16-20)

Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete».

Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».

Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».

L’ultima parola, la definitiva, spetta alla Gioia

La vita è come un video che è composto da una sequenza di fotogrammi e il tempo altro non è che una sequenza di attimi nei quali scorrono le esperienze come le immagini. Gesù parla ai suoi discepoli del tempo dell’assenza in cui non lo vedranno e di quello della sua nuova presenza nel quale lo rivedranno. I discepoli non capiscono il senso delle parole di Gesù che sta annunciando loro la sua morte ma anche la sua risurrezione. La domanda è sempre la stessa: perché soffrire? Perché Dio si sottrae alla vista dei suoi? È la domanda più drammatica che l’uomo si pone quando avverte la pesantezza dell’assenza di Dio, soprattutto nel pianto e nel gemito causato dalle ingiustizie. Il dolore diventa insopportabile quando il ghigno dei superbi, che cantano vittoria sull’innocente perseguitato, mette a dura prova la speranza riposta nella giustizia divina. La sfrontata allegrezza dei malvagi sembra imprimere il sigillo della definitività sul sistema che avvalla la sperequazione, che alimenta la povertà, che crea distanze sempre più ampie tra pochi ricchi e molti indigenti, che sfrutta le risorse della natura senza permettere che essa si rigeneri per poter garantire il sostentamento per tutti.

La parola di Gesù ci invita a rivedere la nostra vita non scorrendo troppo velocemente la sequenza delle esperienze, ma neanche bloccandoci su una di queste impedendo di andare avanti. Ogni momento della vita, soprattutto quello segnato dalla sofferenza non deve essere velocemente archiviato. Se scorrono troppo velocemente le immagini si corre il rischio di perdere dei particolari importanti per cogliere il senso di tutta la vicenda della nostra vita. A volte abbiamo fretta di archiviare momenti della nostra vita, soprattutto quelli nei quali per tanti motivi abbiamo sbagliato, vuoi perché siamo stati impulsivi, oppure per smania di libertà o ancora per superbia, vuoi pure per superficialità o, al contrario, puntigliosità su questioni di principio, oppure per l’imprudenza dovuta ad un invaghimento. Ci troviamo tante volte a piangere e gemere non solo per colpa altrui ma anche per responsabilità propria. Ci sono attimi decisivi nei quali ci lasciamo distrarre e si compromette una vita. Quell’attimo di distrazione che si rivela fatale spesso è solo la punta di un iceberg di un modo di vivere distratto dall’effimero e dal superfluo. 

La morte è certamente uno dei momenti più drammatici della vita di una persona e come tali possiamo passarci su sbrigativamente o bloccarci su di essa con la paura di andare avanti e continuare a vivere. Per quanto grande sia il dolore di una perdita o grave l’errore che ha condotto ad un esito drammatico rimane sempre “un poco” sul quale fermarsi, ma non bloccarsi. Bisogna fermarsi a riflettere e a lasciarsi illuminare la mente da Gesù con la sua parola. La morte di Gesù ha liberato la nostra colpa e la nostra debolezza, che ci fanno soffrire, dalla ineluttabilità della punizione. Gesù con la sua misericordia riempie di senso anche quel tempo che sembra perso a causa del nostro peccato. Con la sua morte ha redento la nostra morte e con la sua risurrezione ha posto un limite al nostro pianto per trasformarlo in gioia. Il peccato e la morte, con il loro ghigno malefico, non hanno più potere per sempre. «Un poco» è la parola di speranza rivolta all’uomo che piange per l’ingiustizia, per il lutto, per la povertà, per la sua debolezza: l’ultima parola, quella definitiva spetta al Dio della vita.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!