Non esiste un santo triste – Giovedì della II settimana di Pasqua

23 Aprile 2020

Giovedì della II settimana di Pasqua

At 5,27-33   Sal 33  

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,31-36)

Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.

Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.

Non esiste un santo triste

L’evangelista Giovanni riferisce che c’è stato un momento nel quale sia il Battista che Gesù battezzavano (Gv 3,22), anche se poco oltre viene chiarito che non era Gesù in persona che battezzava ma i suoi discepoli (Gv 4,2). Da qui nasce una discussione riguardo alla «purificazione rituale», cioè al senso del rito battesimale di Giovanni e quello di Gesù. Qualcuno segnalando al Battista che Gesù ha più successo insinua il dubbio che lui e i suoi discepoli abbiano voluto ingaggiare una competizione. L’evangelista mette in guardia dal pericolo dell’invidia. I discepoli del Battista sono tristi nel veder emergere Gesù la cui fama rischia di mettere in ombra la figura del loro maestro. Ma egli rende testimonianza a Gesù indicandolo come lo sposo e parla di sé come l’amico dello sposo. Egli ha una visione della realtà diversa dai suoi discepoli perché illuminata dalla Parola di Dio, mentre essi sono ancora fortemente legati ad un modo di pensare molto terreno, che dà adito alle insinuazioni e innesca meccanismi di malumore, tensione, risentimenti. La tristezza nasce dall’invidia mentre il Battista è pieno di gioia perché non vede in Gesù un avversario ma il dono di Dio. Egli non può che gioire alla sua voce perché, finito il tempo dell’attesa, è giunta l’ora delle nozze in cui lo sposo offre il vino della grazia di Dio. Pensiamo a quanti sacramenti celebriamo senza godere nell’ascoltare la Parola di Dio ed essere inebriati della sua gioia. Eppure, come dice Neemia al popolo che ascolta devotamente la proclamazione del libro della Legge, «la gioia del Signore è la nostra forza» (Ne 8,10). 

Giovanni gioisce perché crede che Gesù non è venuto a “guastare la festa”, ma riaccendere la gioia della fede nella sua famiglia, come è evidente nel segno compiuto alle nozze di Cana. È Lui infatti Colui che, come dice il Battista, è al di sopra di tutti perché viene dall’alto, viene dal cielo, è il Figlio di Dio che il Padre dona perché in noi sbocci la vita. 

Nel prologo l’evangelista spiega che per mezzo di Mosè fu data la Legge, ma la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (Gv 1,17). La Legge senza la grazia e la verità, cioè priva del dono dello Spirito Santo, è vuota come le sei giare di pietra che Gesù fa riempire d’acqua dai servi. In quella circostanza la festa di nozze rischiava di fallire perché era finito il vino, l’ingrediente essenziale. Così la fede diventa triste se viene meno la gioia. Essa si esaurisce prima del tempo se ci accontentiamo della felicità di scarsa qualità che si chiama piacere, se pensiamo di auto salvarci con le sole nostre forze o attuando la legge come se fossimo macchine che per funzionare devono semplicemente rispettare le istruzioni dell’uso. I riti scrupolosamente celebrati secondo le rubriche ma senza passione diventano abitudini monotone e insignificanti e l’esecuzione dei precetti della legge fine a sé stessa non basta per renderci veramente felici. Le pratiche di fede senza l’amore che viene da Dio ci rendono tristi e alla fine ci lasciano vuoti. A volte possiamo essere come quelle giare di pietra, puri esteriormente ma vuoti interiormente e inutili. La rigidità è propria dei fondamentalisti religiosi perché essi preferiscono essere più fedeli ai principi e alle norme esteriori piuttosto che lasciarsi conquistare dall’amore di Dio. Interroghiamoci sulla tristezza che abita il nostro cuore, sulla sua origine e sui suoi effetti nelle relazioni con gli altri. Forte è il rischio di essere fedeli alla legge, ma infedeli a Colui che l’ha data. Il Battista invita a guardare a Gesù, credere nel Figlio di Dio e, come aveva fatto sua Madre a Cana di Galilea rivolgendosi ai servi, a mettere in pratica la Sua parola, ma non in maniera meccanica e senza speranza, ma credendo fermamente che la misura insufficiente delle nostre forze sarà colmata dall’abbondanza della Sua grazia. Le Sue non sono parole di uomini, ma parole di Dio attraverso cui agisce lo Spirito Santo. Lui fa di noi i vasi, fragili ma preziosi, dai quali tutti possono attingere la gioia della vita.   

La gioia del cristiano è il frutto dello Spirito di Dio che Gesù crocifisso risorto ci dona. È la gioia dei servi che, obbedendo alla parola di Gesù, mettono in pratica il comandamento dell’amore. Come i servi di Cana di Galilea, che avevano attinto l’acqua diventata vino, sanno bene che Gesù è il vero sposo che dà il vino buono, lodato dall’ignaro maestro di tavola, così chi obbedisce alla parola di Gesù, viene ricolmato di gioia e diventa testimone della grazia che fluisce in abbondanza dal cuore di Dio. 

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore.