Pasqua, festa della liberazione del cuore dal peccato perché vi abiti Dio – Martedì della IV settimana di Pasqua

5 Maggio 2020

Martedì della IV settimana di Pasqua

At 11,19-26   Sal 86  

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,22-30)

Io e il Padre siamo una cosa sola.

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».

Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Pasqua, festa della liberazione del cuore dal peccato perché vi abiti Dio

La festa della dedicazione del tempio celebrava il momento in cui il santuario di Gerusalemme, dopo essere stato profanato dagli stranieri che lo avevano trasformato in un tempio pagano, viene, per così dire, restituito a Dio, suo “legittimo proprietario”. Gesù aveva detto di essere il Pastore delle pecore che entra nel recinto, allusione all’area sacra del tempio, dalla porta, al contrario dei ladri e dei briganti che invece salgono da un’altra parte. Egli si muove liberamente nel tempio perché lo vive come un ambiente familiare: è la casa del Padre suo! 

L’evangelista Giovanni ha raccontato del giorno in cui Gesù, in occasione della Pasqua dei Giudei, era entrato nel tempio rimanendo scandalizzato nel trovare gente che vendeva buoi, pecore e colombe e i cambiamonete. Con una corda li aveva cacciati fuori dall’area sacra. Si era acceso di santo zelo nel vedere la casa del Padre trasformata in un mercato (Gv 2, 13-22). Non bastava ripristinare le liturgie e i sacrifici nel tempio, a cui erano destinati gli animali venduti, per ristabilire la signoria di Dio. Era stato tolto l’idolo dal santuario, ma nel cuore degli israeliti era rimasta l’idolatria del denaro. 

Quale vero pastore delle pecore, e non mercenario, Gesù «le caccia fuori» per poi porsi alla guida di coloro che, ascoltando la sua voce, lo seguono. La forza con cui il pastore spinge le pecore fuori dal recinto è la potenza dell’amore che scaturisce dalla croce sulla quale Gesù diventa il Cristo, il Pastore bello. La cacciata dei mercanti dal tempio e l’immagine delle pecore che sono spinte fuori dal recinto indicano l’opera di purificazione compiuta da Gesù. A coloro che gli chiedevano un segno che giustificasse quel gesto Gesù dice: Distruggete questo tempio e io lo farò risorgere in tre giorni» (Gv 2, 19). La sua morte segna la distruzione del tempio in cui si adorano gli idoli del denaro, del sesso, della fama, del piacere, del gioco. La sua risurrezione inaugura il tempio nuovo ed egli stesso è la porta di accesso attraverso la quale i figli entrano nella Casa del Padre e la abitano come fratelli. Gesù risorto, il Buon Pastore, viene a chiamare tutti, e ciascuno personalmente, alla vera libertà. Coloro che credono in Gesù si lasciano purificare il cuore in modo che il proprio corpo non è più il tempio del peccato ma diviene santuario di Dio.

Davanti ai nostri occhi poniamo sempre il Crocifisso e ascoltiamo la sua voce per farci attrarre dal Padre che ci chiama alla comunione con Lui. Chi crede compie questo passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, dal peccato al perdono, dalla miseria alla misericordia. Il cammino di purificazione e di liberazione è un vero esodo dal nostro uomo vecchio schiavo del peccato. Questo itinerario richiede da parte nostra la volontà di mortificare quello che affettivamente ci lega al peccato, di abbandonare modi di pensare che ci condannano alla tristezza, di lasciare abitudini che ci fanno permanere in uno stato di debolezza e torpore dell’anima.  

Gesù, morendo per noi, ci ha riscattati dalla schiavitù del maligno e ha pagato lui il prezzo della nostra libertà. Perciò gli apparteniamo come suoi fratelli. San Paolo dice: «L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2Cor 5, 14-15). Se ci lasciamo possedere dall’amore di Dio il peccato, che ci porta fuori strada e ci fa perdere nel labirinto del male, è inefficace dentro di noi e non viviamo più per noi stessi ma poniamo la nostra vita nelle mani di Dio. Se l’appartenenza al peccato ci rende schiavi, essere nelle mani di Dio ci pone al sicuro e ci conduce a possedere la vera vita. Gesù ci libera dalle grinfie e dalle fauci del maligno, che «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5, 8), per accarezzarci con le sue e consegnarci in quelle del Padre. L’amore di Dio è più forte del peccato e del maligno e quello che il Figlio ha conquistato con il suo sangue, non lo lascia perdere, ma lo custodisce e lo cura come appunto fa il buon Pastore con il suo gregge.

Auguro a tutti una buona giornata e vi benedico di cuore!