Il pastore brutto brama di possedere, il Pastore bello ama per appartenere – IV Domenica di Pasqua

21 Aprile 2018

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)

 

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

Parola del Signore

 

Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, Pietro annuncia con forza che la guarigione del paralitico, che giaceva a chiedere l’elemosina alla porta del Tempio, è opera di Gesù. Egli è vivo e, donando il suo Spirito, sana e salva colui che lo accoglie (I lettura). La salvezza consiste nel diventare figli di Dio (II lettura); lo siamo già in virtù del dono gratuito di Dio, ma lo si diviene man mano che ci lasciamo conformare a Gesù, il bel pastore, che dà la vita per le pecore.

La relazione tra Gesù e i suoi discepoli non è funzionale ma è di tipo sponsale come la relazione che lega il Padre al Figlio Gesù. All’interno di questa relazione d’amore si sviluppa il senso dell’appartenenza che si rafforza attraverso le prove della vita. Gesù per rivelare e introdurci in questo rapporto d’amore, usa l’immagine del pastore, quello bello, che si differenzia dal pastore mercenario. Entrambi fanno lo stesso lavoro, esercitano la stessa funzione, ma il primo lo fa per amore non al suo lavoro, ma ai destinatari del suo servizio, il secondo perché gli piace, lo “impegna”, si sente realizzato, lo fa per dovere o perché deve essere pagato, perché si attende un ritorno. Il pastore, quello bello, pone la sua vita nelle mani delle pecore, si consegna ad esse, dona la sua vita, s’immedesima in loro creando legami di appartenenza, non possessiva, ma libera. L’opera del mercenario, non costruisce appartenenza ma dipendenza. La differenza di tra il pastore, quello bello, e quello brutto si palesa nel momento in cui si presenta il lupo, cioè le difficoltà della vita che minacciano la sussistenza e l’unità della comunità. La qualità della relazione si misura proprio nelle crisi e nei conflitti. Se la bruttezza dell’ autoreferenzialità e della bramosia, si è nascosta dietro la maschera del lavoro, dell’impegno, del volontariato, dell’elemosina allora l’atteggiamento sarà quello di fuggire lasciando il posto a ciò che rapisce e disperde. Colui che non affronta i problemi con la forza della speranza e il desiderio dell’unità, della riconciliazione, della comunione nelle differenze, lascia il posto nel suo cuore alla rabbia con la sua carica aggressiva e dirompente. Colui che invece vive il suo legame di appartenenza con gli altri, uscendo da sé, sintonizzandosi sull’altro, accettando con gentilezza le fragilità proprie e dell’altro, allora affronterà i traumi con coraggio impedendo alle forze ostili di pervadere il cuore, di abbattere e distruggere i sogni e le speranze. Il mercenario, che è davanti al gregge per prendere, afferrare con avidità, è egli stesso un lupo che trasmette anche al gregge la mentalità del lupo creando tra le pecore antagonismo e lotte senza fine per sopravvivere; le pecore diventano lupi le une per le altre. Il pastore, quello bello, facendosi agnello, mite e umile di cuore, trasforma ciascun agnello in pastore, capace di fronteggiare i lupi, cioè i problemi della vita, senza lasciarsi imbruttire e dividere dagli altri. Il pastore, quello bello, è il Figlio di Dio che rimane sempre al nostro fianco per aiutarci ad affrontare da vincitori le crisi che la vita ci riserva. Vivendo un trauma non lasciamo spazio a domande inutili che pretendono di trovare le cause e alimentano la confusione, ma cerchiamo dentro di noi quei punti di forza dai quali ripartire rimotivando nel dono di sé agli altri ogni atto di amore.

Se da una parte dobbiamo essere attenti a non mercificare le nostre relazioni, dall’altra lasciamoci guidare dalla voce del bel Pastore, perché anche le nostre opere siano belle e suscitino in chi le vede lo stupore e la lode alla Bellezza che vince il mondo!

 

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!