La fede dei piccoli rende il discepolo umile padrone di sé e generoso servo dei fratelli – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

6 Ottobre 2019

La fede dei piccoli rende il discepolo umile padrone di sé e generoso servo dei fratelli – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ab 1,2-3;2,2-4   Sal 94   2Tm 1,6-8.13-14   

+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,5-10)

Se aveste fede!

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 

Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Nelle domeniche precedenti abbiamo ascoltato un lungo discorso di Gesù fatto di molte allegorie e parabole. Attraverso di esse Gesù evangelizza rivelando il volto del Padre la cui bellezza traspare dal suo atteggiamento misericordioso soprattutto nei confronti dei poveri e degli esclusi. 

Alla luce della pasqua i discepoli comprendono che il pastore coraggioso, la donna decisa, il padre paziente, l’amministratore scaltro, il povero Lazzaro è Gesù, il figlio sul cui volto risplende la gloria di Dio, che va in cerca di chi si è smarrito, accoglie e riabilita il figlio che ritorna, rinuncia a ciò che gli spetterebbe di diritto per guadagnare in amici, si fa mendicante dell’amore e accoglie tutto come un dono. 

Questo volto di Dio è molto distante da quello che alcuni farisei e dottori della legge hanno in mente e nel cuore e mostrano con il loro atteggiamento. La parola di Gesù risuona oggi nella nostra chiesa che è sempre tentata dall’assumere il punto di vista farisaico inficiato dalla mentalità commerciale del dare-avere. 

L’insegnamento di Gesù, fin sulla croce e a partire dalla tomba vuota, vuole rompere lo schema logico che inquadra ogni cosa secondo il criterio del merito e della colpa, del premio o della punizione. Questa logica distorce l’immagine di Dio e crea le più grandi ingiustizie, le stesse che sono lamentate dal profeta Abacuc nella prima lettura. 

La misericordia che Gesù richiama continuamente è l’anima della fiducia che Dio ha nei nostri confronti. Non è Dio ad essere distante, assente o silenzioso, ma è l’uomo che non riesce a cogliere il suo stile di prossimità. Trasferendo i suoi pensieri e le sue attese in Dio, l’uomo si crea un idolo che giocoforza, al momento in cui è invocato, non è capace di essere vivo e farsi presente.

I discepoli recepiscono quanto distante sia il loro modo di pensare da quello di Gesù, perciò gli chiedono: aumenta la nostra fede! Probabilmente gli apostoli richiedono un surplus d’intelligenza per comprendere la logica nuova indicata da lui. La prima lettura ci offre una chiave di lettura per comprendere più profondamente la richiesta dei discepoli. Essi, come il profeta Abacuc, rivolgono una preghiera. La supplica si eleva da un cuore e una mente confusi. Il profeta, portavoce del turbamento del popolo che proietta in Dio il suo senso di giustizia, non comprende perché non intervenga prontamente contro i malvagi dando loro la punizione che si meritano. I discepoli, parimenti, hanno difficoltà ad accettare la pedagogia di Gesù che invita ad accogliere i peccatori, anzi a cercarli, ad abbracciarli, a conquistarli con la benevolenza, a perdonarli ogni volta che riconoscendosi colpevoli, chiedono pietà. Le parole del profeta sembrano una sfida lanciata verso il Dio silenzioso e apparentemente assente. Quelle dei discepoli esprimono la consapevolezza della loro povertà. La preghiera dell’uno e degli altri rivela la loro fede sebbene debole come una fiammella che Gesù però riconosce anche potenzialmente feconda.

La risposta di Dio nella prima lettura è duplice: il male ha un limite ed esso è posto dal bene che gli uomini possono fare. Nella risposta che Gesù dà ai suoi discepoli troviamo maggiore completezza della parola profetica. Gesù aveva già invitato a vedere il peccatore oltre il peccato, il fratello oltre la trasgressione della legge per desiderare di costruire o ricostruire una relazione personale. 

Gesù in un dittico indica cosa sia la fede e come la si vive. La prima icona è tratta dalla natura con le immagini del granello di senapa e l’albero del gelso o del melograno, la seconda è presa dal mondo domestico e agricolo in cui si mette in evidenza il rapporto che c’è tra il servo e il padrone. 

La fede dei discepoli, anche se messa alla prova dalle ingiustizie, dalle difficoltà incontrate nella vita e nella missione, è un dato di fatto perché è dono di Dio. La consapevolezza di avere una piccola fede e segno che si ha la fede dei piccoli, di quelli cioè che, coscienti di non bastare a se stessi, chiedono l’aiuto di Dio. È la fede dei piccoli che può fare cose che la presunta fede dei grandi non riuscirebbe a fare. La fede dei piccoli si apre all’azione di Dio che è capace di fare quello che da soli non riusciremmo. L’albero dalle profonde radici indica le abitudini mentali e pratiche da cui è difficile staccarsi. I discepoli sanno che da soli non riuscirebbero a cambiare mentalità e sradicare quel modo di pensare, di parlare e di agire mondano, anche se religioso, che viene denunciato e stigmatizzato da Gesù nell’insegnamento offerto precedentemente. 

L’uomo che riconosce di essere schiavo di se stesso e dell’egoismo, che ha messo radici profonde nel suo cuore, con il dono della fede impara innanzitutto ad essere padrone di sé e con l’esercizio della carità verso se stesso diventa veramente libero. La fede è comunione con Gesù in modo tale che non solo agiamo come Lui, ma agiamo con Lui. Solo ciò che è fatto con Dio realizza l’impossibile. Nessuno si rende libero da sé, ma la vera libertà si conquista vivendo in comunione con Cristo l’unico vincitore sul peccato e sulla morte.

La seconda parte del dittico descrive una situazione comune all’epoca in cui un padrone normalmente possiede dei servi che lavorano nei campi e in casa. Il rapporto tra il padrone e il servo non è di scambio di favori. Il servo, in quanto tale, non si aspetta dal padrone che lo accolga per servirlo a tavola quando ritorna dal campo, ma sa, che finito un servizio lo aspetta un altro. Il servo ancora non si aspetta che il padrone gli dica grazie. Un servo vive serenamente la sua funzione quando accetta di stare al suo posto e vive il suo servizio non ambendo a essere qualcos’altro rispetto a quello che è. L’accettazione serena di sé inibisce qualsiasi desiderio di riscatto o l’ambizione che scatena competizioni e liti.

Il servizio gratuito e senza pretese interessate da una parte fa crescere la fede, intesa come libertà interiore e padronanza di sé, e dall’altra innesca un meccanismo virtuoso per cui il servizio quotidiano, silenzioso e ordinario fatto con gratuità e generosità ha la forza di abbreviare il tempo del male e attutisce o risana le ferite causate dall’ingiustizia.

La fede dei piccoli dunque rende autorevoli padroni di sé e servi umili e generosi dei fratelli.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!